
Libri e Pancakes
By Lulu30, in Letteratura Rosa,

-Buon pomeriggio- mormorò di rimando lui, per poi riprendere da dove si era interrotto, completamente indisturbato. Uno degli infiniti vantaggi dell’essere il proprietario di un’attività commerciale era proprio quello: nessun capo che ti sgridava se non prestavi attenzione alla gente che entrava o se oziavi dietro il bancone, nessun obbligo di inseguire i clienti per il negozio per costringerli ad acquistare merce. Luca ne sapeva qualcosa, dato che prima di trovare finalmente il coraggio di aprire una propria attività aveva lavorato a lungo come commesso in un negozio d’abbigliamento in un grande centro commerciale. Inutile dire che, per una persona estremamente timida e impacciata come lui, quell’impiego aveva rappresentato un vero e proprio incubo. Scorrazzare in lungo e in largo con scatole di scarpe e grucce con vestiti appesi, mentre faceva del proprio meglio per fingersi disinvolto e loquace con perfetti sconosciuti, decisamente non faceva per lui. Per cui, dopo svariati mesi, un prestito in banca, un piccolo aiuto economico da parte della madre e qualche incoraggiante seduta dall’analista, Luca era finalmente riuscito a coronare il proprio sogno di aprire una libreria. Le biblioteche erano un tipo di negozio a sé; i libri erano qualcosa di personale e soggettivo, e per come la vedeva lui, erano loro a scegliere il lettore, non viceversa. Luca li amava anche per quello, e ai suoi occhi quello del libraio costituiva il mestiere perfetto, dato che non si trattava di inseguire o infastidire nessuno, né di perdersi in grandi chiacchiere, semplicemente di offrire a gente che condivideva la sua stessa passione consigli e la possibilità di perdersi nell’incanto di una bella storia. Quasi come un segno del destino che gli confermava di star facendo la scelta giusta, era stato abbastanza fortunato da trovare il luogo perfetto in cui aprire la nuova attività: un locale ampio e luminoso, con i pavimenti rivestiti da un elegante parquet color marrone scuro e i soffitti alti in Via dei Gelsomini numero 3, una delle vie principali del paese. Quella strada prendeva il nome dalle piante rampicanti di gelsomino che crescevano lungo le sue mura e che la rendevano un luogo affascinante e curioso per tutti i turisti che capitavano dalle parti di Punta Stella; motivo per cui, il sindaco aveva dato precise disposizioni che impedivano a negozianti ed abitanti di quella zona di potare o recidere quei rami colmi di fiori bianchi. Non che qualcuno avesse mai manifestato tale volontà, anzi: il turismo giovava molto alle attività commerciali della zona, senza contare che il profumo di quei delicati fiori bianchi era davvero un toccasana rispetto al solito puzzo di gas di scarico proveniente da automobili e altri veicoli urbani.
Come molti in citta, Luca adorava quel posto, e non solo per i vantaggi che gli avrebbe offerto dal punto di vista economico: in quella via si respirava un’aria romantica e fiabesca, ed era convinto che avrebbe costituito una cornice graziosamente pittoresca per una libreria, che in onore di quei fiori aveva deciso di chiamare proprio Jasmine.
Proprio davanti al suo negozio, si trovava il miglior bar della città, il Tea & Pancakes di Marina, una ragazza dolce, estroversa e solare che da qualche mese a quella parte Luca aveva il piacere di considerare propria amica. Qualche giorno prima dell’inaugurazione e apertura ufficiali di Jasmine, Luca si aggirava affaccendato per le stanze, intento a sistemare libri qua e là per gli scaffali, a spolverare e fare e ricevere telefonate. L’ansia era a mille e, in quei rari momenti in cui si concedeva una pausa dai preparativi, centinaia di dubbi e paure lo assillavano, portandolo inevitabilmente a chiedersi come sarebbe andata quella nuova avventura che si accingeva a intraprendere. Fu proprio in uno di quei momenti di incertezza che Marina comparve nella sua vita, con due caffè in due tazze di cartone simil-Starbucks strette nelle mani piene di anelli e un grembiule rosa legato intorno alla vita.
-Ciao, io sono Marina, la proprietaria di Tea & Pancakes- gli disse, facendogli un gran sorriso.
Con quei grandi occhi castani da cerbiatta e quel sorriso innocente da bambina, sembrava appena uscita da un cartone animato. Era forse la prima volta in vita sua che Luca non si sentiva a disagio davanti ad un’estranea. Inoltre, era un avventore affezionato di Tea & Pancakes, che a suo modesto parere serviva davvero i migliori pancakes della città, oltre ad una vasta scelta di tè aromatici e particolari variazioni dei caffè tradizionali che lui adorava. Marina doveva ricordarselo, dato che la tazza che gli porse conteneva il delizioso caffellatte alla cannella che prendeva quasi sempre quando andava a fare colazione da lei.
-Ti ho visto sgobbare come un mulo per tutta la mattina e ho pensato che magari ti avrebbe fatto piacere fare una piccola pausa col caffè che ti piace tanto. Ricordo quasi tutti i miei clienti e le loro ordinazioni, spero di aver azzeccato- disse, sorridendo.
Luca sorrise a sua volta.
-Grazie. Io mi chiamo Luca, comunque- le disse. –E sì, hai azzeccato. Non solo il caffè che mi piace, ma anche il momento in cui portarmelo. E’ la prima pausa che mi prendo da tutta la mattina e avevo proprio bisogno di un po’ di caffeina, sono esausto- aggiunse. Marina era una di quelle persone che infondono allegria e spensieratezza, capaci di trasformare anche il più taciturno e chiuso degli individui in un libro aperto.
-Il grande giorno si avvicina, giusto?- gli chiese, indicando con un cenno il cartello appeso alla porta del negozio che annunciava la data di apertura. Sorseggiò il proprio caffè. Luca annuì.
-Ricordo ancora quando aprii il bar. Le ultime settimane di preparativi furono a dir poco folli. Avevo così tante cose da fare e così tanto stress che ricordo a malapena il giorno dell’inaugurazione. Ero così ansiosa…-.
Luca la guardò, stupito. Marina ridacchiò.
-Lo so, è difficile da credere, dato che sembro la persona più spensierata e tranquilla del mondo- disse lei, praticamente leggendogli nel pensiero.
–Penso sia inevitabile per chiunque sentirsi nervosi qualche giorno prima di imbarcarsi in un’avventura completamente nuova. Ma non preoccuparti, andrà tutto bene- lo rassicurò.
Luca prese un sorso del proprio caffè.
-Non ne sono così sicuro, sai? Di amanti dei libri ormai ce ne sono pochi in giro. Tutti quanti sembrano preferire una serata al cinema o un abbonamento a Netflix al piacere di sfogliare le pagine di un buon libro. Sto investendo molto in quest’attività, e non posso fare a meno di chiedermi se ho fatto la scelta giusta, o se sono destinato a fallire perché incapace di stare al passo coi tempi- mormorò Luca.
-Capisco cosa vuoi dire. Come sai, il mio locale non è il classico bar di paese. E’ particolare, un po’ hipster e alternativo, di ispirazione americana/inglese e… beh, non tutti ne erano entusiasti all’inizio. L’Italia è la patria del caffè espresso, non del caffellatte alla cannella o degli infusi alle erbe aromatiche. I primi tempi avevo mille dubbi, mi chiedevo se stavo prendendo la direzione giusta o se non sarebbe stato meglio aprire un bar come tutti gli altri e magari semplicemente abbassare i prezzi o mettere più zucchero nel gelato per battere la concorrenza. Poi ho capito che un locale del genere non sarebbe stato mai davvero mio, perché non avrebbe rispecchiato la mia personalità e i miei sogni, e per me restare fedele a me stessa era di gran lunga più importante e appagante che avere successo e denaro. Quindi creai Tea & Pancakes esattamente come lo avevo sempre immaginato-.
-Ed ora hai tantissimo successo. E’ sempre pieno zeppo di clienti- osservò Luca, sorridendo.
Le belle parole di Marina gli avevano fatto comprendere quanto quella ragazza avesse lavorato sodo e quanto si meritasse che la sua attività andasse a gonfie vele.
-Cerco di fare del mio meglio- rispose modestamente lei.
-Il fatto è che il successo dipende anche da quanta passione ci metti nel lavoro che fai, e che seguire i propri sogni e il proprio cuore paga sempre nella vita. Quello che sto cercando di dirti è: adeguarti alle mode e ai tempi che corrono potrebbe portarti denaro, ma non felicità. Creare qualcosa di diverso, invece, permettere alla gente di entrare nel tuo mondo e così facendo magari permettendo loro di affacciarsi a nuove realtà e di cambiare un po’ le loro abitudini, potrebbe essere una cosa positiva. La diversità è ricchezza. Pensa che noia se in giro ci fossero solo bar da espresso e cornetto o… Un momento, dov’è di preciso che si vendono gli abbonamenti a Netflix?!-.
Luca rise. Le parole di quella ragazza così semplice, gentile e spontanea lo avevano rincuorato, e in cuor suo, era anche convinto che gli avessero portato fortuna. L’inaugurazione di qualche giorno dopo, infatti, fu un grande successo, e Jasmine era ormai diventato una libreria fiorente e molto frequentata. Lui e Marina prendevano un caffè insieme al bar di lei non appena avevano un giorno o un momento di tregua e si consideravano un po’ anche “colleghi”, oltre che amici. Molto spesso, infatti, a Luca capitava di scorgere i propri clienti iniziare a sfogliare i libri che avevano acquistato da lui seduti ad uno dei tavolini del bar di Marina, mentre a lei capitava di servire un caffè o un tè d’asporto a ragazzi e ragazze che poco dopo entravano con quella stessa tazza in mano nella libreria di Luca, pronti a scegliere un nuovo libro in cui immergersi.
La ragazza dai capelli rossi che era entrata quella mattina era una di quelli. Si era seduta su una delle poltrone in fondo al negozio, appoggiando sul tavolo da caffè di fronte a lei una tazza fumante di tè. Il logo del Tea & Pancakes gli ricordò la persona a cui stava pensando e il motivo della sua sbadataggine di quegli ultimi giorni – anzi, settimane.
Luca si era preso una cotta per una cliente abituale di Marina, una ragazza alta e snella dai lunghi e folti capelli scuri e occhi verdi della quale lui si era innamorato a prima vista. Grazie alla sua nuova migliore amica, aveva scoperto che si chiamava Emma, aveva qualche anno in meno di lui (24, per l’esattezza, mentre lui ne aveva 28) e una predilezione per il tè ai frutti rossi e i pancakes con le gocce di cioccolato. Quando aveva lezione all’università, invece, prendeva un cappuccino d’asporto e un cornetto con la crema che mangiava per strada, da sola o insieme alle colleghe con cui passeggiava tranquillamente fino alla facoltà di filosofia qualche strada più in là. Luca si sentiva strano a conoscere tutti quei fatterelli sulla vita di Emma senza che a dirglieli fosse stata la diretta interessata, ma era davvero troppo timido per farsi avanti e avviare una vera e propria frequentazione con lei. Marina non faceva altro che prenderlo in giro ed esortarlo ad agire, dicendogli che se non la smetteva di fare il bradipo la prossima volta che Emma sarebbe entrata da Tea & Pancakes o da Books sarebbe stata mano nella mano con un ragazzo, e a Luca a quel punto non sarebbe rimasto altro da fare che crogiolarsi nei propri rimpianti. Ma che poteva farci?, ormai, dopo ben 28 anni, le sue insicurezze e paure erano troppo ben radicate nel suo animo per essere estirpate da un giorno all’altro come se nulla fosse. E poi, non si poteva dire che non ci avesse provato. E no, perché nonostante Marina non facesse altro che incoraggiare Luca ad incontrare Emma al bar e iniziare una conversazione con lei e magari a chiederle di uscire, in realtà i due si erano già incontrati: in un bel pomeriggio di fine aprile, Emma era entrata in negozio. Ed era stato un disastro (quasi) totale.
Luca era alla cassa, impegnato a confezionare un pacchetto regalo per una signora sulla sessantina dallo sguardo preoccupato e l’aria leggermente nervosa.
-Non si preoccupi signora, Romeo e Giulietta piace sempre a tutti, non può sbagliare con un libro del genere- la rassicurò Luca con tono affabile, infilando il volume nella sottile busta da regalo glitterata. La signora sussultò, persa nei propri pensieri e richiamata alla realtà dal commento di Luca. Gli sorrise, e immediatamente il suo volto cambiò, illuminandosi di una luce nuova.
-Grazie- gli rispose. –Speriamo bene-.
Fu in quel momento che il solito scampanellio sopra la porta gli annunciò l’ingresso di un nuovo cliente, che si rivelò essere proprio Emma.
Luca rimase a bocca aperta, quasi come se ad apparirgli fosse stata la Madonna in persona. La ragazza, dal canto suo, parve non far caso alla bocca semi-chiusa e gli occhi da pesce lesso del proprietario della libreria, e si limitò a salutarlo con uno squillante “buonasera!” e un gran sorriso. Con la coda dell’occhio, Luca vide la cliente davanti a sé sorridere discretamente, e fu allora che riuscì a sbloccarsi dallo stato di trance nel quale era momentaneamente caduto e riprendersi abbastanza da non fare la figura del perfetto idiota.
-Buon pomeriggio- farfugliò, abbozzando un sorriso imbarazzato.
Emma gli sorrise e prese a passeggiare per la libreria, leggendo le targhette coi titoli dei generi appese al soffitto e sfiorando i dorsi dei volumi sugli scaffali.
Nel frattempo, Luca era riuscito in qualche modo a ricordarsi che aveva una confezione regalo da terminare. Afferrò la pinzatrice e fece per chiudere la busta, quando Emma gli rivolse nuovamente la parola, facendolo nuovamente piombare in confusione.
-Dove posso trovare i testi filosofici?- gli chiese.
Fu proprio in quel momento che accadde la catastrofe.
Momentaneamente incapace di far due cose contemporaneamente, Luca lasciò nuovamente perdere il regalo, alzò il braccio con la mano che stringeva la pinzatrice e la usò per indicare una parete del negozio.
-Lì in fondo a sinistra- disse, commettendo il grave errore di guardare Emma negli occhi.
Quasi immediatamente, il suo intero corpo si sciolse come un ghiacciolo al sole: le gambe gli si fecero di gelatina e le mani sudate lasciarono scivolare la pesante pinzatrice di metallo, che gli piombò proprio sul piede. Il ragazzo non poté fare a meno di lanciare un urlo strozzato, trattenendosi a stento dall’afferrarsi il piede e saltellare su e giù dal dolore come il personaggio di uno dei fumetti che leggeva da bambino.
-Oddio, stai bene?!- le chiese Emma, preoccupata.
La signora anziana in attesa della confezione regalo, d’altro canto, sembrava trattenere a stento una risata.
-Sicuramente- sentenziò, facendo il giro del bancone e avvicinandosi a lui.
-Non preoccuparti: io sono un’insegnante in pensione, ma mio marito è stato un medico per tanti anni. Se ti togli la scarpa magari sono in grado di dirti se c’è qualcosa di rotto o meno- gli disse, con aria di intesa.
Luca capì che la signora, in un moto di solidarietà, stava creando un diversivo per distrarre Emma dalla propria brutta figura e per dare a lui modo di ricomporsi prima che la ragazza tornasse per salutarlo o pagare il libro che aveva intenzione di acquistare.
-Certo, le sarei immensamente grato- rispose, iniziando a slacciarsi la scarpa del piede dolorante. Nel frattempo, Emma si era allontanata nella direzione che le era stata indicata.
-La ringrazio, davvero- sussurrò non appena le si trovò a portata d’orecchi.
-Ma figurati, figliolo- rispose lei, con aria da nonna comprensiva e affettuosa. –Anche se tanti anni fa, ho avuto anch’io la tua età. E ricordo ancora adesso l’imbarazzo che si prova difronte alla persona che ti piace- spiegò, distogliendo lo sguardo dal suo piede. Gli occhi circondati di rughe della donna sembravano fissare un punto imprecisato nello spazio e nel tempo con uno strano miscuglio di dolcezza e nostalgia.
Sorrise.
-Anche suo marito fece qualche brutta figura, una delle prime volte che la vide?- le chiese.
La signora parve risvegliarsi bruscamente da un sogno ad occhi aperti.
-Oh, no, mio caro- sorrise lei. –Alfred era un uomo molto pragmatico e controllato, un vero uomo di scienza. Non credo abbia mai conosciuto quella sensazione in vita sua, era molto sicuro di sé-.
Luca non poté far a meno di chiedersi se non avesse toccato un tasto dolente, dato che la donna si tirò immediatamente in piedi e tornò dietro il bancone a passo svelto, come se non vedesse l’ora di andar via di lì.
-Puoi finire la confezione regalo, per favore? Si è fatto tardi- gli disse, in tono cordiale. –Il tuo piede sta bene, comunque. Niente di rotto, ma potresti avere un livido, quindi magari quando torni a casa mettici del ghiaccio sopra-.
Terminò di impacchettare il libro e lo porse alla signora, che nel frattempo aveva aperto il portafoglio.
-Quanto ti devo?- gli chiese. -Assolutamente nulla. Lo consideri come il mio ringraziamento per il suo aiuto e le mie scuse per averle fatto perdere tanto tempo- replicò, rivolgendole un gran sorriso.
La signora sorrise a sua volta.
-Che Dio ti benedica- gli disse affettuosamente. –Buona serata-.
-Anche a lei-.
La signora uscì dal negozio nello stesso istante in cui Emma si avvicinò al bancone, posando un libro vicino alla cassa: “Così parlò Zarathustra”, di Friedrich Nietzsche.
-Come va il piede?- gli chiese, mentre Luca scannerizzava il codice a barre del libro alla cassa, concentratissimo nel tentativo di non fare un’altra magra figura.
-Bene, grazie- rispose lui, evitando di guardarla negli occhi. Può sembrare scontato, ma era così bella che era sicuro che se si fosse soffermato ad ammirarla, sarebbe entrato di nuovo in tilt. Per cui si limitò a fissarle un punto imprecisato tra la fronte e i capelli, un trucchetto che aveva imparato perché la tua timidezza spesso gli impediva di guardare direttamente negli occhi il proprio interlocutore.
-Un gran bel libro- disse lui, mentre Emma cercava il portafogli in fondo alla borsa.
-Già- commentò lei, estraendo una banconota da 10 euro e deponendola sul bancone. –Anche se onestamente preferirei leggere tutt’altro al momento- aggiunse, mentre Luca riponeva i soldi nella cassa e strappava lo scontrino.
-Del tipo?- le chiese, adesso di gran lunga più tranquillo. Parlare di libri lo tranquillizzava sempre: se le conversazioni tra esseri umani si fossero sempre e solo concentrate su tematiche letterarie, sarebbe stato la persona meno timida sulla faccia del Pianeta.
-Non so di preciso, ma sicuramente qualche testo di narrativa e niente volumi filosofici per un bel po’. Non fraintendermi, ovviamente amo la filosofia, dato che la studio all’università, ma… Ultimamente è tutto ciò che leggo. Sto preparando la tesi e il mio relatore non fa altro che assegnarmi un libro dopo l’altro. Alcuni nuovi, altri che già ho letto ma che a suo parere devo assolutamente “ripassare”… E’ un po’ ripetitivo e… beh, faticoso- disse.
-Qualcosa mi dice che ti ci vorrebbe una bella storia, magari una saga fantasy, per scappare dalla realtà ed immergerti in un altro mondo per rilassarti un po’- le consigliò. Nonostante la timidezza e la goffaggine, vendere e consigliare libri era il suo lavoro, non ché una grande passione, dato che condividere la propria passione per la lettura con gli altri era per lui un grande privilegio. Poi, però la ragazza sorrise e la sua sicurezza vacillò nuovamente, tanto che dovette aggrapparsi al bancone con entrambe le mani per essere sicuro di non cadere.
-Sì, direi che una bella saga fantasy potrebbe davvero fare al caso mio. Magari quando sarò più libera dallo studio tornerò a trovarti e tu me ne consiglierai una che ti piace, che ne dici?-.
Luca deglutì e fu come mandare giù uno sciame di farfalle – le proverbiali farfalle nello stomaco – che gli seccò la bocca e fece leggermente tremare le gambe.
-Certo, perché no- farfugliò lui.
Emma parve incrinarsi leggermente. Aspettò qualche istante, poi infilò il libro nella borsa e iniziò ad allontanarsi.
-Allora ci vediamo. Ciao!- disse, alzando una mano in cenno di saluto.
-Cia… Ehm, buona serata!-.
-Anche a te!-.
Fu dopo esser tornato a casa e aver raccontato la vicenda in un’estenuante telefonata a Marina (le ragazze parlavano sempre così tanto al cellulare, non si accontentavano di un riassunto conciso come i ragazzi, volevano sentire ogni singolo dettaglio!) che si rese conto di essere un caso senza speranza.
-Quello della pinzatrice non è così male come credi, ad alcune ragazze piacciono i ragazzi timidi e goffi, li trovano teneri- gli spiegò l’amica. –Ciò che hai sbagliato è stata la fine della conversazione. Lei ti ha fatto una proposta, non proprio un appuntamento, ma un invito a rivedervi. E tu, invece di mostrare entusiasmo e spirito di iniziativa a tua volta, sei stato incerto e insicuro, facendole dubitare che tu voglia davvero rivederla-.
-Ma che a me lei piaccia si vede da lontano un miglio!- provò a difendersi Luca, sentendo però che in cuor suo l’amica aveva ragione. Non avrebbe mai dimenticato l’espressione leggermente delusa sul viso di Emma quando l’aveva salutata come una normale cliente, invece che come la ragazza speciale che lui credeva che fosse.
-ERRGHH- fece Marina, imitando il suono gracchiante dei videogiochi quando o delle slot machine quando perdi una partita. –Ritenta, sarai più fortunato- disse lei, cercando di sdrammatizzare. –Devi capire che per noi ragazze è già abbastanza complicato e imbarazzante farsi avanti per prime, dato che sfortunatamente molti ragazzi la pensano ancora all’antica e considerano una donna che chiede loro di uscire come una “facile” o una da non prendere sul serio- spiegò Marina. –E in più c’è in giro quell’incrollabile mito secondo il quale la donna per conquistare un uomo deve interpretare la parte della cafona snob che non lo degna di uno sguardo. Capirai quindi che una ragazza che riesce a radunare così tanto coraggio da chiederti di rivederti, seppur in maniera delicata come ha fatto Emma, necessita di esser rassicurata che tu apprezzi il suo tentativo e condividi le sue intenzioni-.
-Però, Marina, non ti facevo così saggia- osservò Luca, cercando di mascherare il proprio malumore e scontento con un po’ di ironia. –Non è che sei una psicanalista e non me l’avevi detto? O che hai una laurea in sociologia e hai dimenticato di menzionarlo?-.
All’altro capo del telefono, Marina sbuffò.
-Ecco, lo vedi perché non hai successo con le ragazze?! Per via di battute come questa- replicò, a metà tra il seccato e il divertito.
-Che intendi dire?-.
-Secondo te come faccio a sapere tutte queste cose?! Nonostante tu tenda a dimenticarlo, caro il mio signor pinzatrice-sul-piede, io sono una ragazza. Ecco perché so quello che dico e puoi assolutamente fidarti della mia attenta e profonda disamina dei fatti- disse Marina, imitando il tono compito e formale di un ampolloso professore universitario.
Luca sghignazzò.
-Non lo dimentico, tranquilla. E so che hai ragione, motivo per cui credo che stasera affonderò la mia depressione in una bella pizza formato maxi e una bottiglia di birra-.
-Già, credo sia l’unica cosa che ti resta da fare- disse Marina, sospirando teatralmente.
-Stammi bene, amica sociologa-.
-Anche tu, mister pinzatrice-sul-piede -.
Nei giorni seguenti, Emma non si fece vedere, né da Jasmine, né da Tea & Pancakes. Probabilmente era impegnata con la tesi, come gli aveva accennato; eppure, nonostante non la conoscesse affatto e non aveva nessuna garanzia che l’avrebbe mai rivista, a Luca mancava.
Era bizzarro, sentire la mancanza di una persona che conosceva a malapena e praticamente solo di vista, ma lui non poteva farci niente. Gli mancava il suo passo leggero e svelto quando passeggiava lungo la strada, il modo in cui i lunghi capelli le danzavano sulle spalle quando c’era vento, e il sorriso gentile che rivolgeva a Marina poco prima di salutarla; il modo in cui increspava le labbra quando il caffè era troppo caldo e le si bruciavano le labbra, o in cui si riempiva di briciole quando mangiava i waffles e…
Basta, si disse Luca. Era ora di passare all’azione. Iniziava a pensare come i personaggi di uno di quei romanzi rosa che piacevano tanto a sua madre e sua sorella e nei quali lui non aveva mai creduto, forse perché non aveva mai provato qualcosa del genere prima, nemmeno per le sue ex ragazze. Questo voleva forse significare che adesso era… innamorato?
-Certo che lo sei- osservò placidamente Marina una sera di maggio di qualche settimana dopo, comodamente mezza distesa su uno dei divanetti del proprio locale.
Erano le sette e mezza di sera e l’amica aveva appena fatto le pulizie, mandato a casa le cameriere e girato il cartello appeso sulla porta del negozio dalla parte che diceva “chiuso”. Tuttavia, le luci erano ancora accese, e lei e Luca erano seduti ad uno dei tavoli in fondo a divorare due tranci di pizza e sorseggiare due coca-cola light.
-Ma com’è possibile? Non ci conosciamo neanche!- protestò Luca, sentendosi come un bambino di 12 anni alla prima cotta.
Marina si strinse nelle spalle.
-Mai sentito parlare di amore a prima vista?-.
-Non ci ho mai creduto, a dire il vero- replicò Luca.
-Beh, ora sai che ti sbagliavi-.
Entrambi tacquero per qualche istante. Fuori dal locale, coppie di innamorati e gruppi di amici passeggiavano in allegria, usufruendo a pieno di quella bella serata. Anche dentro Tea & Pancakes c’era un tepore tipicamente primaverile, e alle luci calde del locale sembrava quasi di star facendo un picnic sull’erba di un prato piuttosto che una cena veloce e a base di cibo spazzatura dopo una stressante giornata di lavoro. Sia Luca che Marina avevano avuto un gran daffare quel giorno, sembrava che tutto il paese avesse improvvisamente avvertito il bisogno impellente di comprare un libro o un caffè, tutti tranne… Beh, Emma. La ragazza si era fatta vedere di sfuggita da Tea & Pancakes, ma aveva sempre e solo ordinato d’asporto ed era scappata dal locale praticamente di corsa, come se avesse una gran fretta; un paio di volte aveva guardato verso la vetrina di Jasmine e gli aveva rivolto un cenno di saluto e un sorriso, ma niente di più. Molto probabilmente era impegnatissima con gli ultimi esami o lezioni prima della laurea.
-Cosa dovrei fare, a tuo parere?- chiese Luca. Si stupì quando vide Marina alzare gli occhi al cielo.
-Bah, non so… darti all’ippica?- scherzò lei, terminando ciò che era rimasto della propria pizza e alzandosi per buttare il piatto di plastica nella spazzatura.
Luca la guardò.
-E adesso perché fai così?- le chiese, stupito.
-Perché sei esasperante, Dio Santo!- sbottò lei.
Si alzò in piedi, mordendosi il labbro, indecisa se continuare o meno.
-Pensi e parli sempre e solo di questa ragazza per settimane come se ne fossi ossessionato, mi chiedi consiglio un trilione di volte come se ci volesse un’arca di scienza per capire che l’unica cosa sensata da fare a questo punto sarebbe quanto meno chiederle il numero di telefono, ma NO: ti accontenti di restare a fissarla dalla vetrina della tua libreria come uno stoccafisso, mentre ti struggi sul da farsi neanche stessi studiando il modo di metterti in contatto con un’entità aliena- disse Marina, tutto d’un fiato.
Dal modo in cui l’aveva detto, era chiaro che era una cosa che pensava da un bel po’ di tempo, e la prima reazione di Luca fu quella di restarne ferito.
-Sai quanto sono timido e impacciato, e che…- iniziò, ma Marina lo interruppe.
-Io so che sei un ragazzo intelligente, spiritoso, interessante e… beh, ormai sei mio fratello, quindi mi fa strano dirlo- disse, dando qualche colpetto di tosse imbarazzato. – Ma sei anche un gran figo dal punto di vista fisico-.
I due si guardarono, tentando di restare seri ma inutilmente: entrambi scoppiarono in una fragorosa risata e ogni singolo granello di fastidio che Luca aveva provato fino a poco prima svanì in un istante.
-Guarda Luca, credimi quando ti dico che qualsiasi ragazza sarebbe fortunata ad averti- fece Marina quand’ebbero finito di ridere.
-Già il fatto che tu trascorra il tuo tempo a leggere libri invece che a rincretinirti davanti alla play-station è qualcosa che dovresti inserire nel curriculum. Poi, vabé… Ti sento parlare di Emma e dici delle cose così dolci e romantiche, e da ragazza mi metto nei suoi panni e penso a quanto sicuramente le farebbe piacere sentirsele dire, e mi dispiace che non sia ancora successo niente di concreto tra voi due-.
Luca deglutì.
-Marina, quella della timidezza non è una scusa. Ti ringrazio per le bellissime parole, ma purtroppo arrivano un po’ tardi. E’ tutta la vita che sono lo sfigato di turno, quello che non ne combina una giusta-.
Sospirò, preparandosi a farle un breve riassunto della propria vita. Marina trattenne il respiro, percependo il nervosismo di Luca e ricevendolo con aria colma di teso stupore. Fu come se una nube carica di pioggia d’improvviso facesse la sua comparsa in un cielo fino a poco prima azzurro e sereno.
-Mio padre lasciò mio madre quando io e mia sorella avevamo 7 e 5 anni e da allora non l’abbiamo più rivisto- iniziò.
Marina tornò a sedersi, questa volta vicino a lui sul divanetto di pelle bordeaux.
-Ovviamente all’epoca non capivo a pieno quello che stava succedendo, ma credo che fu allora che divenni… beh, così come sono adesso. La mia analista dice che ho incolpato me stesso dell’addio di mio padre, finendo per pensare che se n’era andato perché c’era qualcosa di sbagliato in me. Io non lo so di preciso, non ricordo quasi niente di quel periodo, tranne forse mia mamma che cercava di non far rumore mentre piangeva nella sua stanza…-.
-Oh, Luca…- fece Marina, sconvolta.
Lui fece un sorriso storto.
-Non preoccuparti, il resto della mia vita non è stato tanto tragico. Mia madre ha fatto del suo meglio per crescerci da sola, rivelandosi una vera e propria forza della natura. Io sono sempre stato un ragazzo solitario, però. Col tempo sono riuscito a farmi dei buoni amici, ma da bambino e adolescente a scuola era difficile. Non volevo andare alle feste, non volevo buttarmi nella mischia o fare amicizia o tentare cose nuove per paura di rivelare a tutti che fallito ero. Perché doveva per forza esserci qualcosa di sbagliato in me, dato che persino il mio stesso padre mi aveva abbandonato-.
-I libri sono sempre stati il mio rifugio, il mio porto sicuro. Li portavo ovunque, usandoli come scusa per non rivolgere la parola alla gente. A scuola mi chiamavano “secchione” o “sfigato”, ma non mi importava. Le storie mi rendevano felice, mi facevano immergere in mondi che mi facevano completamente dimenticare di quello in cui vivevo e che non mi piaceva gran che. Mi immedesimavo nell’eroe di turno e per qualche istante mi sentivo forte e invincibile, invece che un ragazzino occhialuto e timido che aveva paura di tutto. Era come se quelle avventure le vivessi io, tramite quei personaggi-.
-Però adesso è ora che sia tu a scrivere e vivere la tua storia- gli disse dolcemente Marina.
La ragazza lo abbracciò forte per qualche secondo, poi lo lasciò andare.
-Mi dispiace tantissimo per ciò che ti è accaduto e posso solo immaginare quanto sia stato doloroso, ma… Non è un valido motivo per auto-precluderti la possibilità di vivere appieno la tua vita facendo qualcosa che potrebbe renderti felice. So che sembra brutale, ma ti prego ti credermi quando ti dico che sto parlando col massimo rispetto per te e tutto ciò che hai vissuto-.
Fece una pausa per permettergli di assimilare le sue parole.
-Non c’è niente di sbagliato in te, Luca, non farmi ripetere tutti i complimenti che ti ho fatto poco fa perché una volta sola ti basta e avanza- gli disse, strappandogli un sorriso.
-Non ci conosciamo da tanto, è vero, ma caso vuole che io ti abbia conosciuto proprio quando stavi per fare una cosa molto coraggiosa- fece Marina.
Luca sorrise. –Aprire Jasmine-.
-Esatto. Sai quanto coraggio ci voglia ad aprire una propria attività, specialmente per una persona timida come te? Lavori a contatto col pubblico, parli con estranei tutti i giorni, il che mi dice che sei perfettamente in grado di gestire la tua timidezza… Forse solamente credi di non esserne capace, motivo per cui quando ti ritrovi davanti ad Emma non ci riesci davvero… Perché hai già detto al tuo cervello che non ci riesci, e te ne sei auto-convinto!-.
Luca rifletté per qualche secondo sulle parole dell’amica.
-Potresti aver ragione- concesse, stringendosi nelle spalle.
-Hai avuto il coraggio di realizzare il tuo sogno, nonostante comportasse l’abbandono della tua comfort zone-.
Luca iniziava ormai a sentirsi davvero meglio; non solo più allegro, ma sollevato, come se lo stretto nodo di ansie e paure che da sempre percepiva in corrispondenza del cuore iniziasse finalmente ad allentarsi.
-Sono cresciuto in una casa di sole donne- cominciò.
-E quindi?! Meglio ancora, conosci bene le ragazze, sai cosa dire e cosa no!-.
-Ma mi è mancato avere un padre da cui ricevere consigli sulle donne. Sai, il papà con cui parlare della mia prima ragazza e al quale chiedere in prestito l’auto buona per impressionarla… Io avevo solo mia madre che mi diceva di portarle dei fiori, o qualsiasi altro regalo che avrebbe potuto farle piacere, e di tenere le mani apposto- spiegò Luca.
Marina sorrise.
-Beh, onestamente tua madre ti ha dato un ottimo consiglio. Quasi nessuna ragazza vuole essere palpata al primo appuntamento e i regali fanno sempre colpo- osservò.
Fu allora che Luca sentì qualcosa di vagamente simile ad un interruttore scattare nel proprio cervello; se fosse stato il personaggio di un fumetto, molto probabilmente in corrispondenza della sua testa sarebbe comparsa una lampadina accesa.
-Marina, ho un’idea- disse. –Aspettami qui, torno subito-.
Luca uscì dal locale dell’amica e si precipitò nel proprio, aprendo la porta chiusa a chiave e dirigendosi nella sezione fantasy. Trovò quasi subito ciò che stava cercando: una saga di quel genere che aveva letto tempo addietro e semplicemente adorato. Inizialmente fece per prendere tutti e tre i libri, ma poi un’idea improvvisa lo spinse a posare il secondo e terzo volume sullo scaffale e prendere invece solo il primo. Lo portò alla cassa, lo incartò come un regalo e lo infilò in una busta di plastica insieme ad un bigliettino di auguri.
Non era tanto, rifletté Luca, anzi. Forse era una cosa piuttosto scema ed infantile, ma quanto meno più originale di uno squallido messaggio sui social network (modalità di rimorchio assai diffusa ultimamente e che lui personalmente non aveva mai apprezzato). Sospirò, indeciso: Emma l’avrebbe pensata allo stesso modo? O l’avrebbe scambiato per uno sfigato? Questo non poteva saperlo. Ciò che sapeva, però, anche e soprattutto alla luce della conversazione avuta poco prima con Marina, era che doveva tentare.
Uscì dalla libreria con la busta in mano, incamminandosi verso il bar dove l’amica lo aspettava e lo guardava da dietro la vetrina con sguardo interrogativo. Doveva parlare con la ragazza che amava, doveva farle capire ciò che provava; e allora perché non farlo nel modo che gli riusciva meglio, ovvero tramite un libro?
Qualche settimana dopo, ad un’ora imprecisata di un bel mattino di giugno, Emma dormiva nel proprio letto, in un appartamento piccolo ma dignitoso poco distante da Via dei Gelsomini. Come diceva a tutti suo padre, erano stati davvero fortunati a trovare quella casina in affitto proprio nelle vicinanze della via più frequentata della città, dato che così tutto ciò di cui Emma poteva aver bisogno – un supermercato di fiducia in cui far la spesa, una farmacia con medico in sede e negozi di abbigliamento per tutti i gusti, ma anche un ottimo bar in cui prendere il caffè al mattino e una libreria dove rifornirsi di materiale scolastico e libri da consumare nel tempo libero – era immediatamente a portata di mano. Senza contare il fatto che era a solo 10 minuti di strada a piedi dalla facoltà di filosofia che Emma aveva frequentato fino a qualche giorno prima, un grande vantaggio che aveva permesso persino ad una dormigliona come lei di non arrivare mai in ritardo alle lezioni del mattino.
Tuttavia, i giorni delle levatacce adesso erano finiti: a fine maggio, Emma si era laureata a pieni voti, lasciandosi finalmente alle spalle quello che avrebbe per sempre ricordato come il periodo più stressante della propria vita. Era stata così oberata di studio, ricerche e letture da aver praticamente trascorso quelle ultime settimane in auto-reclusione in casa propria, e la sua unica distrazione erano state le frequenti visite della sua migliore amica Giulia. Quella benedetta ragazza, che Emma conosceva sin dal liceo, era stata una boccata d’aria fresca durante quei periodi di studio “matto e disperatissimo”: le portava caffè e pancakes comprati al suo bar preferito (Tea & Pancakes, che purtroppo non aveva più potuto frequentare da quando aveva deciso di concentrarsi solo sul lavoro necessario ad ultimare la tesi di laurea), la costringeva a chiudere i libri per un’oretta e le parlava di tutto e di più per farla rilassare e svagare un po’. Ovviamente, in quanto amica premurosa e preoccupata, non mancava di farle notare che avrebbe dovuto lasciare quell’appartamento ogni tanto, scherzando sul fatto che il bar dove facevano colazione ogni mattina avrebbe di certo sofferto di un crollo economico a causa della sua repentina assenza.
-Non credo ciò possa capitare, visto e considerato che tu mi porti la mia ordinazione a domicilio e quindi è come se ci andassi ancora- rise Emma, un giorno.
-E che mi dici allora di Jasmine ?- le chiese Giulia, con un sorriso malizioso sul volto.
-Non capisco di cosa tu stia parlando- fece Emma, cercando di trasudare noncuranza ma facendo di tutto per non incontrare lo sguardo bonariamente inquisitore dell’amica.
-Di un ragazzo a tuo dire molto affascinante che lavora lì e per il quale tu hai una cotta da mesi…-.
All’epoca di quella conversazione, Emma aveva zittito Giulia dicendole che aveva provato a farsi avanti con Luca, ma che lui non aveva mostrato altro che professionalità e disinteresse.
-Evidentemente non gli piaccio- le aveva detto, raccontandole la vicenda.
-O magari è solo timido- aveva replicato l’amica.
Quello Emma l’aveva intuito, ma restava il fatto che si era sentita gentilmente rifiutata e che la cosa l’aveva ferita, dato che Luca (ne aveva scoperto il nome grazie alla complicità di Giulia, che un giorno era andata in libreria e, sotto mentite spoglie, aveva svolto un po’ di indagini per conto suo) le sembrava un ragazzo interessante e le sarebbe davvero piaciuto conoscerlo meglio.
Chissà cosa stava facendo adesso, si chiese, alzandosi finalmente dal letto e dirigendosi in bagno. Si lavò la faccia e i denti immaginandolo a lavoro, intento come sempre a consigliare qualche cliente in difficoltà con quel suo sorriso dolce e gentile che gli illuminava il volto come un raggio di sole. Luca aveva un’aria così felice quando parlava di libri, che Emma riusciva a vedere sin dal suo tavolino da Tea & Pancakes quanto gli occhi gli brillassero o il suo intero corpo cambiasse posa ed espressione, non appena qualcuno gli domandava di proporgli o riassumergli brevemente un volume della sua libreria.
Avrebbe voluto parlargli, chiedergli di uscire o quanto meno il numero di telefono, ma farlo tramite social network sarebbe stato squallido e non riusciva a trovare il coraggio di farlo di presenza. Ultimamente, non ne aveva trovato nemmeno il tempo. Ma quel mattino, che arrivava dopo una serata trascorsa al cinema e successivamente in pizzeria con Giulia che l’aveva riempita di consigli ed incitazioni, aveva finalmente deciso di provarci. Come l’amica le aveva detto solo qualche ora prima, “non lo saprai mai se non ci provi davvero, e poi tutto ciò che vuoi è dall’altro lato della paura”. Chiaramente, Giulia aveva googlato “frasi motivazionali” prima di vedersi con lei quella sera, ma Emma doveva ammettere che quelle parole avevano molto più senso che restare per sempre seduta a fissarlo da un tavolino dall’altro capo della strada. Motivo per cui, dopo essersi vestita e aver mandato un messaggio vocale all’amica promettendole di raccontarle tutto più tardi, Emma uscì di casa, diretta verso Tea & Pancakes.
Emma si diresse a passo deciso verso il bancone del bar, dove avrebbe ordinato la sua dose di teina quotidiana prima di andare a compiere la propria missione dall’altro lato della strada.
-Buongiorno, potrei avere…-.
-Un tè ai frutti rossi? Arriva subito, tesoro- cinguettò Marina, la proprietaria del locale, comparendo come per magia alle spalle della cameriera alla quale Emma si era rivolta.
-Robi cara, qua ci penso io, tu vai ad occuparti di quel signore lì- disse alla ragazza che stava per servirla, prendendone il posto ed indicandole un altro cliente dall’altra parte del bancone.
-Emma, tesoro, quanto tempo!- esclamò poi, voltandosi verso di lei.
Emma sorrise.
-Mi siete mancati da morire, credimi, ma sono stata così impegnata con lo studio che questa è praticamente solo la seconda o terza volta che lascio il mio appartamento da un mese a questa parte. Finalmente mi sono laureata, però, quindi tornerò a trovarvi molto più spesso adesso che sono libera- le disse.
Lei e Marina non erano esattamente amiche, ma andare quasi ogni mattina nello stesso locale ti portava inevitabilmente a stringere un legame di conoscenza con le persone che ci lavoravano e con le quali facevi sempre un po’ di conversazione prima di proseguire con la tua giornata.
-Oh, davvero? Beh, innanzitutto, congratulazioni!- fece Marina.
–Sono davvero molto felice per te. Questo potrebbe contare come un vero e proprio regalino di laurea, allora- aggiunse, in maniera sibillina.
-Questo cosa?- chiese Emma. D’istinto pensò che la barista volesse magari offrirle il tè, ma non credeva che l’avrebbe fatto in maniera tanto teatrale e solenne, dato che Marina era solita offrire di tanto in tanto bevande o piccoli pasticcini ai clienti più affezionati.
Marina smise di preparare il tè ed estrasse una busta di plastica da sotto il bancone. Gliela porse insieme alla tazza fumante.
Emma la guardò con aria interrogativa, cercando di capire.
-Cos…-.
-Perché non ti siedi, bevi qualche sorso di tè e vedi tu stessa di cosa si tratta?- le suggerì Marina.
Pensando che effettivamente quella era l’unica cosa sensata da fare in quel frangente, obbedì silenziosamente, prendendo posto nel primo tavolino vuoto che si trovò di fronte. Infilò la mano nella busta di plastica e ne estrasse un pacchetto regalo con il logo di Jasmine stampato sulla parte frontale della carta che era stata usata per avvolgere il libro. Improvvisamente il cuore di Emma iniziò a battere a perdifiato, nonostante non avesse ancora ben capito di fronte a cosa si trovasse di preciso.
Spacchettò il regalo, scoprendo un libro fantasy con il disegno di una ragazza in uniforme da guerriera in copertina. Ancora imbambolata in una sorta di trance, Emma lo aprì, dando una scorsa alla trama riassunta nel quarto di copertina.
… Femminista e maturo, ma al tempo stesso romantico, misterioso e colmo di magia, costituisce il primo capitolo perfetto di una delle trilogie fantasy più apprezzate dalla critica e dagli amanti del genere…
Con un sorriso, Emma posò il libro sul tavolino e prese il biglietto che vi aveva trovato allegato, capendo finalmente il senso di quel regalo.
“Cara Emma” iniziò a leggere. La calligrafia di Luca era precisa e ordinata, e lei si sentiva felice, speciale, perché leggere un biglietto scritto a mano era di gran lunga meglio che leggere un messaggio sullo schermo di un cellulare.
“Non so davvero cosa potrai pensare di me, che ti sto scrivendo una lettera e regalando un libro senza praticamente nemmeno conoscerti, ma io sono fatto così: i libri sono il mio lavoro e il mio mondo, di più non so fare. In più, mia madre dice sempre che alle ragazze piacciono i regali, quindi…”.
Emma sorrise.
“Quando sei entrata in libreria per comprare un saggio di filosofia e mi hai proposto di tornare presto per rivederci, io sono stato un perfetto idiota. La verità è che mi piaci da settimane, mesi ormai, ma la mia timidezza e insicurezza mi hanno sempre impedito di trovare il coraggio di dirtelo”.
Un gran sorriso si aprì sul viso di Emma, ritrovandosi e non poco in quelle parole.
“E adesso che quella forza l’ho finalmente trovata, tu sei completamente sparita nel nulla. Tuttavia, sapendo quanto ami il tè e i pancakes di Marina, credo (o almeno, spero!) che un giorno tornerai al suo bar. Per questo le ho affidato un regalino per te, sperando che ti arrivi in un momento in cui sarai abbastanza libera da dedicarti alla lettura. Spero che ti piaccia, questo libro è uno dei miei preferiti del genere, ma è il primo di una serie… Se ti piace, se sei interessata, torna pure in negozio a comprare il secondo. Io ci sarò, e magari stavolta riuscirò a non fratturarmi un piede”.
Emma rise, ricordando il buffo episodio che si era verificato durante la sua prima conversazione con Luca.
“Se non ti va… Beh, sarà triste, ma almeno potrò dire di averci provato. Perché ne vali la pena, Emma. Vali la fatica che richiede vincere le proprie paure e insicurezze, perché sei qualcosa di bello, e speciale, e niente del genere si trova senza lottare. Anche se si tratta di combattere contro se stessi.
Con affetto, tuo
Luca”.
Emma rimase per qualche secondo a fissare il vuoto, interdetta. Nessuno aveva mai fatto qualcosa del genere per lei. Non le restava che una sola cosa da fare…
Da dietro il bancone di Tea & Pancakes, Marina continuava a servire caffè e cornetti a destra e a manca, cercando contemporaneamente di non perdere di vista la vetrina del negozio di Luca e inviando mentalmente all’amico tutte le vibrazioni positive di cui era capace. Anche se, comunque, non credeva proprio che ne avesse bisogno: il modo frettoloso ed emozionato in cui Marina aveva pagato per il tè e si era precipitata da Jasmine, il rossore nelle sue guance e i sorrisi che entrambi lei e Luca si stavano scambiando parlavano chiaro.
Non ci volle molto, infatti, perché Luca dicesse qualche parola al commesso e poi uscisse dalla porta del negozio con Emma a fianco, rivolgendole uno dei sorrisi più radiosi che lei gli avesse mai visto fare da quando lo conosceva.
Tutto bene quel che finisce bene, pensò. Il cuore le si colmò di felicità per i due amici, mentre la porta del locale si apriva e una ventata di aria fresca riempiva il bar del profumo delicato dei gelsomini.
I fiori sembravano essere ovunque, incastonati nelle mura come gemme di un gioiello prezioso, sulle panchine ai lati del viale o per terra, alcuni ancora candidi e freschi, altri un po’ sporchi e calpestati; nella mente di Marina, ognuno di quei gelsomini sembrava rappresentare una storia, ciascuna unica e diversa dalle altre, ma al tempo stesso simile perché facente parte della stessa pianta. Lei aveva appena avuto il piacere di osservarne una svolgersi davanti ai suoi occhi, e distrattamente non poté fare a meno di pensare a quanto sarebbe stato carino che qualcuno ci scrivesse un libro su quelle storie, dato che quei gelsomini erano davvero tanti e il loro profumo sarebbe piaciuto a tutti. Quel libro sarebbe finito dritto dritto su uno degli scaffali di Jasmine, e… Beh, magari sarebbe stato un gran successo, chi lo sa?!
In fondo, se si ha il coraggio di osare nella vita, tutto può succedere.
- leggi di più
- 0 commenti
- 157 visite